Non riesco a rispondere alla domanda se mi è piaciuto o no questo film. Forse no, mi verrebbe da dire così su due piedi, però è troppo tempo che ci penso e ci ripenso e questo, a mio parere, è quasi sempre un buon segno.
La protagonista del film è Adriana, interpretata da Giovanna Mezzogiorno, che una sera, durante un’occasione mondana, incontra Andrea ( Alessandro Borghi). Basta veramente poco ai due per venire coinvolti da un’irrefrenabile passione in una scena molto chiacchierata. Da questo incontro ad alto tasso erotico si dipana la vicenda che incrocia un passato e un presente avvolti da un grande mistero. Un amore folle, così incredibile e travolgente che ricorda i vecchi film anni 40, quando ai due protagonisti bastava guardarsi mezza volta per giurarsi amore eterno. Una passione che esplode subito, che non sa aspettare, e poi muore con la stessa intensità.
Ozpetek, anche se con qualche eccezione, ha sempre saputo soddisfare la mia voglia di cinema e di certo le mie aspettative erano molto alte. Un cinema, il suo, capace di raccontare l’amicizia, i rapporti profondi, la famiglia (quella molto allargata), le relazioni più invadenti, struggenti e personaggi controversi ma sempre pieni di vita. Nelle sue opere si ritrova sempre la quotidianità, anche nelle situazioni meno comuni ed alcuni elementi irrinunciabili; il colore rosso, prestanti attori maschili, grandi tavolate, il gruppo di amici, le presenze/assenze. Io queste cose me le aspetto e anche stavolta non sono rimasta delusa ma è come se avesse svolto il suo compitino senza dare a questi elementi troppa importanza. Tra le cose che mi sono piaciute, sicuramente la musica. La colonna sonora originale è stata affidata al musicista e compositore italiano Pasquale Catalano con la partecipazione di Arisa per l’interpretazione in napoletano del brano “Vasame”. Inoltre la fotografia è molto bella, forse un po’ trattenuta, come se l’autore avesse paura di perdersi troppo in una Napoli che abbonda di elementi e dare così una visione più “ordinata” agli spazi sopra e sottoterra. Sono proprio questi, gli spazi, ad avere un’importanza fondamentale e a dare al film un significato ancora più profondo, collegando quel mondo visibile a tutti con una dimensione occulta, scavata nella terra e nei cuori delle persone. Una dicotomia che non rimane solo ad un livello apparente, ma scende nel non mostrato, nel richiamo, nell’accenno, fino a materializzarsi in alcuni dettagli che tanto mi ricordano Montale, per quella condivisa ricerca di un varco che possa svelare la realtà e la condizione umana più autentica.
Godi se il vento ch’ entra nel pomario
vi rimena l’ ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.
Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’ eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall’ erto muro.
Se procedi t’ imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…
In Limine (Ossi di seppia),
Eugenio Montale
Proprio Montale, in riferimento al periodo in cui scrisse gli Ossi di seppia, parla di un velo che lo separa da una realtà a cui si sente molto vicino ma che gli è preclusa. Da qui la ricerca di un varco che possa essere rivelatore.
Il velo del Cristo di Sanmartino, a cui si fa riferimento nel film, è un velo che copre senza nascondere ma che rappresenta comunque una, anche se sottile, barriera, o appunto un “limine” tra due dimensioni che, così come sono, non possono venire in contatto.
Adriana è un medico legale che a causa del suo lavoro, è in relazione con la morte e trascorre gran parte del suo tempo tra cunicoli e sale situate sottoterra. Sarà proprio questa spinta verso il basso a produrre una spinta contraria e altrettanto forte, che la trascinerà in superficie, sempre alla ricerca di vita ed emozioni forti. La ricerca ostinata di quella “maglia rotta” attraverso cui poter vedere con chiarezza un passato oscuro ci terrà legati a questa storia, che nonostante qualche debolezza nella sceneggiatura (alcuni elementi non vengono spiegati ma devono essere semplicemente accettati per far funzionare la storia) affascina e non lascia indifferente anche lo spettatore più scettico.
Ho apprezzato veramente poco quello che mi è sembrato un occhio strizzato al cinema di Sorrentino. Mi riferisco soprattutto alla scena della tombola nella casa di riposo con vista sul Vesuvio e alla vecchia veggente bloccata a letto davanti alla tv. I personaggi molto caricaturizzati mi hanno ricordato gli ultimi film del regista partenopeo che in questo caso sembrano calati in un contesto che non gli appartiene e risaltano come “macchiette”. Può essere che questo sia il risultato di un’operazione voluta di commistione di generi diversi e che semplicemente a me non è piaciuta. Nel film c’è tutto: mystery, thriller, noir, erotismo… ma spesso manca qualcosa che possa rendere fluido il passaggio da un registro all’altro. Questo il motivo principale che mi impedisce di rispondere alla domanda iniziale ma una cosa è certa, quel velo te lo senti addosso dall’inizio alla fine.